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Ritratto di signora con terrazza e serra, ovvero recensione di Green card

Il film Green card (1990), allora sulla bocca di tutti, mi trascinò a vederlo un’amica talmente in visibilio che sembrava essere già stata al cinema (e chissà, forse l’aveva già visto da sola, anche se conoscendola non mi sembrava il tipo che fa cose imprudenti come andare al cinema da sola a diciassette anni, seppur di pomeriggio come usava allora per noi ragazzine).
La sua eccitazione aveva tre radici: l’adorabile verecondia virginale del modello Andie McDowell; gli adorabili abitucci casual di Andie McDowell; e il delizioso pollice verde con complicazioni amorose di Andie McDowell. Da come ne parlava, insomma, era la storia più romantica di tutti i tempi…

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Pubblicato da su 30 aprile 2020 in Salva & riguarda

 

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Enzensberger e la breve estate dell’anarchia

Enzensberger non delude mai. In questo caso la scelta, dapprima spiazzante, di alternare una cornice storica a freddo al prisma delle molteplici testimonianze e e riflessioni sul personaggio e sul contesto, si rivela feconda e azzeccata. E per testimoni abbiamo saggi, pubblicistica, da Erenburg a Simone Weil, da Engels alla compagna di Durruti, da Trotskij a Borkenau, incluse molte interviste realizzate da Enzensberger stesso.

Il saggio, breve ma densissimo, mi ha aperto un mondo trasversale a tutta la storia mondiale dalla fine dell’Ottocento in poi ma che non avevo mai approfondito: l’azione politica degli anarchici, e l’interesse che riveste per me in questo periodo la guerra civile spagnola me ne ha dato l’occasione.

Premessa: quello che scrivo non ha niente a che fare con la vicenda Pinelli, né con Sacco e Vanzetti, né tantomeno con altri episodi particolarmente acuti, dolorosi e mai cicatrizzati dell’anarchia italiana e non. Le mie idee non credo coincidano granché con quelle di Enzensberger. E mi scuso fin d’ora se colpirò la sensibilità di eventuali amici e conoscenti che per l’ideologia anarchica simpatizzino.

Ciò detto, penso che il movimento anarchico, con la generosità, abnegazione, idealismo, violenza mirata e, sì, ignoranza, sia stato fin dalla Seconda Internazionale e continui a essere una delle disgrazie costanti della politica italiana ed europea.
Lo vediamo ancora, ogni giorno, con i loro eredi consapevoli o meno impegnati a distruggere le vetrine delle città sedi di un G8, con le farneticazioni dei gilet gialli francesi, con i no-Tav, i black block: tutti accomunati da un vago e inspiegato rifiuto dello Stato, da violenza arbitraria, distacco dalla realtà e soprattutto scollamento dalle masse.

Lo scollamento degli anarchici non dalle masse, ma dalla realtà e dalle dure leggi della politica si manifesta prima e durante la guerra civile spagnola nel modo più drammatico (mi riferisco non tanto alle azioni punitive arbitrarie, es. nei confronti di chiese e membri del cattolicesimo, quanto alla ridicola impreparazione, disorganizzazione, guasconeria delle milizie anarchiche di fronte alla macchina da guerra franchista da un lato, all’autodisciplina degli altri antifranchisti, soprattutto dei comunisti, dall’altro).

Paradigmatica, nel suo essere così grottesca, è la morte del protagonista di questo libro, Buenaventura Durruti, che pure si stava dimostrando tra i leader anarchici il più intelligente e strategicamente duttile.

Durruti: che protagonista.
Diceva Ilja Erenburg che da una vita così avventurosa nessuno avrebbe mai potuto cavare materiale narrativo.
Gigante buono, ammirato, amato, generoso, senza paura, pieno di abnegazione, portatore di giustizia: certo ogni guerra ha bisogno di eroi ma qui si esagera: sempre in prima linea, fuori e dentro dalle prigioni di mezzo mondo Sudamerica compreso, Durruti sa anche riflettere e imparare dai suoi errori, come dimostra il fatto che nelle ultimissime settimane di vita stia riorganizzando le sue milizie e cominciando a capire che se stai facendo politica, se vuoi fare politica, devi sporcarti le mani con la realtà, il che non significa farsi corrompere ma dialogare, trattare, compromettersi.

Che se sei il comandante stai esercitando il potere, che in ogni movimento politico si creano inevitabilmente delle élite, basate quantomeno sul merito e sul carisma, proprio come nel suo caso. Che se sei il comandante e devi sorvegliare la prima linea prendendo decisioni ventiquattr’ore su ventiquattro, un’auto e un autista ti servono, e non è questione di lusso ma di vincere la guerra.

In questo senso è sintomatico che i più lucidi, sempre, durante la guerra di Spagna, siano i commenti degli intellettuali e testimoni soprattutto stranieri, russi e comunisti in particolar modo (tra cui Trotzkij, il cui nome per ignobili ragioni interne gli stalinisti associarono al Poum e agli anarchici, liquidando infine questi ultimi, mentre purtroppo Trotzkij con gli esponenti spagnoli di quelle fazioni non avrebbe preso neanche un caffè, tanto li considerava inutili o dannosi).

Cito solo alcune osservazioni tratte dal saggio, di Hanns-Erich Kaminski, intellettuale anarchico tedesco:

“A poco a poco la guerra ha cambiato l’esercito delle prime settimane e dei primi mesi della rivoluzione. Già esso non si compone piú di proletari armati che considerano la loro unità come un’appendice del loro partito o del loro sindacato. Questo esercito si è militarizzato spontaneamente. I miliziani sono diventati soldati regolari. Le sue Centurias sono diventate compagnie, le sue colonne reggimenti. I vecchi nomi restano solo sulla carta. (…) Tutti capiscono che non si può fare la guerra senza disciplina. In teoria la milizia si basa sempre sulla libera volontà, ma, in pratica, questa diviene sempre piú una finzione. La gerarchia, che domina in tutti gli eserciti, si impone sempre di più. 
(…)
Le operazioni furono fatte senza alcuna strategia. (…) Non c’erano quartieri generali, né stati maggiori né organizzazioni per trasmettere le notizie. (…) È inutile dire che queste truppe commisero tutti gli errori che si potessero commettere. Attacchi notturni furono compiuti gridando viva la rivoluzione, spesso i cannoni furono puntati sulla stessa linea della fanteria… (…).
Un miliziano mi ha raccontato che un giorno, dopo la colazione; tutto un distaccamento si recò in una vigna vicina per mangiare uva; quando tornarono, la loro posizione era occupata dal nemico.”

E, come pietra tombale, le lucide e spietate parole dell’unico uomo che secondo Malaparte era stato lo stratega della Rivoluzione di Ottobre: Lev Trotszkij:

Gli anarchici non fecero che mostrare la loro relativa incomprensione per le leggi della rivoluzione ed i suoi problemi, quando cercarono di rinchiudersi all’interno dei propri sindacati, abituati alla routine dei giorni di pace. ciò che accadeva al di fuori di questi sindacati nelle masse, nei partiti politici, nell’apparato governativo, essi lo ignoravano. Se fossero stati rivoluzionari veri, avrebbero anzitutto promosso la costituzione di soviet, di consigli in cui tutti i lavoratori della città e della campagna sarebbero entrati, anche i più poveri, quelli che non avevano mai fatto parte di un sindacato. (…) Invece gli anarchici cercarono nei loro sindacati un rifugio rispetto alle esigenze della “politica”. Si dimostrarono una specie di quinta ruota del carro della democrazia borghese. Presto perdettero anche questa posizione, perché di una quinta ruota non ha bisogno nessuno.
Basterebbe la loro giustificazione!  <<Noi non abbiamo preso il potere non perché non avremmo potuto, ma perché siamo contrari ad ogni forma di dittatura>>. Un’argomentazione di questo genere indica già in se stessa che l’anarchia è una dottrina controrivoluzionaria.
Chi rinuncia alla presa del potere non fa che procurarlo a quelli stessi che lo detenevano da sempre, e cioè agli sfruttatori. L’essenza di qualsiasi rivoluzione consiste ed è sempre consistita nel fatto di portare al potere una nuova classe, e di consentire a questa classe di realizzare il proprio programma.”

La breve estate dell’anarchia, copertina

Hans Magnus Enzensberger
La breve estate dell’anarchia.
Vita e morte di 
Buenaventura
Durruti
Feltrinelli

Milano, 1973

 
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Pubblicato da su 4 settembre 2019 in Momenti di felicità su carta

 

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Il nemico

– Raga, che bava.
– È una guerra, Leo…
– Che palle che siete!

Da un lato della trincea ci sono la Ketti, la Sofi, il Dani e l’altra Sofi detta Blondie per distinguerla dalla prima Sofi, che è castana e lavora lì da più mesi.
Più i rinforzi dell’agenzia, ovvio. Quelli non c’è bisogno che abbiano un nome. Hanno mani come badili, braccia di cemento armato e l’occhio lungo per i ladri. Otto, più i quattro dipendenti, il titolare e il suo compagno.
Calcolate che almeno loro, stanotte, hanno dormito, o almeno l’hanno passata in un letto, cosa che non si può dire del nemico. Chi con quindici gocce di Xanax (il titolare e la Sofi), chi con venti gocce di En (il Dani, dice che lo Xanax lo lascia troppo storto), chi con una canna, chi senza niente ma anche senza dormire per un cazzo. Read the rest of this entry »

 
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Pubblicato da su 9 febbraio 2019 in Momenti di felicità su carta

 

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Le 20 peggiori serie tv di sempre (classifica provvisoria)

Come promesso, simmetricamente, alla Grande Classifica delle Migliori Serie Tv di Sempre, ecco la grande classifica delle peggiori serie tv mai viste negli ultimi anni dalla peggiore alla meno peggio (è stata dura ma non durissima), a mio insindacabile e personalissimo giudizio.
Escludiamo per comodità tanta robaccia degli anni ’80, ’90 e 2000, così come la maggior parte della roba trasmessa in chiaro sulla tv italiana, che non vale neanche la pena di essere citata. Read the rest of this entry »

 
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Pubblicato da su 1 febbraio 2019 in Diario

 

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Le 20 migliori serie tv (classifica provvisoria)

Siccome l’amico Lodo mi stuzzicava sabato sera sull’argomento; e siccome a voler essere precisi, bisognerebbe distinguere tra un’idealtipica Grande Classifica delle Migliori Serie Tv di Sempre e una annuale; o anche per genere, dato che ormai il mercato offre di tutto. Read the rest of this entry »

 
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Pubblicato da su 1 febbraio 2019 in Salva & riguarda

 

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